Pogba: iella e dintorni

Roberto Beccantini14 maggio 2023

Era la prima da titolare, per Paul Pogba. Tra una fetta qua e una là, da Bergamo al Siviglia, qualche bigné e l’idea di un calcio pensato, cosa che attorno non è da tutti. Poi, al 22’, crac. L’ennesimo. Al quadricipite sinistro, stavolta. Fuori in lacrime, con lo stadio silente. Già quando arrivò, in estate, si sapeva di un fisico che, a 30 anni, proprio di ferro non era. Poi il menisco, gestito – pur di recuperare il Mondiale in Qatar – con l’egoismo dell’io sono io e voi non siete eccetera. Poi le storiacce familiari. Poi un filo di luce. In tutto, con quelli di oggi, fanno 126 minuti. Su 35 giornate. C’est la vie, ma ho paura che il destino c’entri poco. Il problema non è fargli chiudere le partite o fargliele aprire: il problema, purtroppo, è il suo fisico. Auguri, comunque. Ci mancherebbe.

L’ordalia è ruotata attorno a un episodio, quello, e a un 2-0 emerso dai gorghi di una notte complicata. La Juventus è seconda; la Cremonese, penultima. Sia Allegri sia Ballardini dovevano vincere. Dopo un tempo di possesso sfibrante perché sterile, in mezzo a un Paredes insospettatamente leader, ha risolto la qualità degli alluci. La volata di Chiesa e il gran destro di Fagioli, un ex; lui, che con il Sassuolo l’aveva combinata grossa, al terzo gol stagionale. La craniata di Bremer, su angolo di Paredes (il migliore, con Chiriches) tra rimpalli assortiti. E’ entrato Di Maria, è uscito Vlahovic: insomma, le solite portate.

Dagli altri fronti. L’Inter ha ritrovato Lukaku e macinato il Sassuolo, complici gli stinchi di Ruan. Il Milan è sgonfio, anche se al Picco aveva perso addirittura Inzaghino (non, però, la squadra «senza allenatore»). Il Napoli continua a celebrarsi e il brillante Monza di Palladino lo ha rosolato, non senza le gentilezze dell’arbitro, più cavaliere del Cavaliere.

Troppa Inter

Roberto Beccantini10 maggio 2023

Al Bernabeu c’è stata partita, a San Siro no. Troppa Inter. Come a Riad, in Supercoppa, il 18 gennaio. Là, due gol dopo 21’ (Dimarco, Dzeko); qua, due dopo 11, addirittura. Dzeko, volée mancina su angolo di Calhanoglu, con Calabria pencolante come uno straccio dalla finestra; Mkhitaryan, su tocco di Dimarco e velo di Martinez. Più un palo di Calha, occasioni assortite e un rigore di Kjaer corretto dal Var in tuffo di Lautoro.

A scanso di equivoci, 3-0 in Arabia «con» Leao, 2-0 stavolta «senza». E a proposito di Bennacer, è uscito per infortunio quando ormai i dadi erano tratti; e i giochi, fatti. Se dopo l’1-1 di ieri, il ritorno fra City e Real si annuncia caliente, lo scarto odierno avvicina l’Inter a Istanbul, sempre che dalla rivincita di martedì – in casa, per giunta – non esca una trama che solo Hitchcock, oggi, potrebbe vagheggiare; e forse nemmeno lui.

Vi giro, en passant, la frequenza tennistica delle edizioni stagionali, fra campionato e coppe: Inter-Milan 2-3, 3-0, 1-0, 2-0. Punto e a capo. Inzaghino ha sorpreso Pioli con le stesse armi – pressing, velocità, precisione – con cui lo aveva sbaragliato negli ultimi due set. Sono sincero: avevo pronosticato l’Inter, ma non immaginavo che avrebbe vinto così, di forza e di slancio. Voce dal fondo: nella ripresa è affiorato un po’ più di equilibrio, e persino un palo di Tonali, il diavolo meno cherubino, e l’ingresso di Origi qualcosina aveva agitato. Vero. C’è solo un dettaglio: le belve rimanevano belve, anche se un filo meno feroci; e i domatori, chiamiamoli così, sempre leggeri, anche se un attimino meno docili.

Hombre de la noche, Dzeko. Poi Mkhitaryan, il turco, Acerbi e la squadra, tutta. Cosa avrebbe potuto inventarsi Pioli? Un centrocampista in più, Rebic subito? Mah. Di sicuro, non ci ha capito niente. Al contrario di Inzaghino che, quando lo affronta, sembra Pep.

Morsi di serpente

Roberto Beccantini9 maggio 2023

Sembravano morsi di un serpente spuntato all’improvviso: il destro pallottola di Vinicius, su splendido ricamo Camavinga-Modric-Camavinga, con il Real soffocato e basso, molto basso. Il destro proiettile di De Bruyne, su tocco di Gundogan, con il City un po’ sulle sue, più combattuto che combattivo. E così, 1-1 al Bernabeu. Champions, semifinale di andata: si decide all’Etihad.

L’attesa era globale e spasmodica. Guardiola è un pittore, Ancelotti un arredatore. I ritmi, lenti, hanno favorito la nitidezza dei tocchi, non già la tensione salgariana del romanzo. Courtois ha parato all’inizio (su De Bruyne, su Rodri, su Grealish, poi ancora sul belga), Ederson alla fine (su Benzema e Tchouaméni). Tre cambi, il primo all’81’, Carletto; zero, Pep: honi soit qui mal y pense.

Nel mirino, Benzema e Haaland. Da guerre stellari a scaramucce di cerbottane. Nel dettaglio: il pallone d’oro sempre in partita, anche se spesso gregario; il centravanti-ciccia, sistematicamente ingabbiato e anticipato. Come se il miedo escenico ne avesse smagrito il furore; e come se l’orchestra, afferrato lo «zeitgeist» (spirito del tempo), si fosse rassegnata.

Sono esplosi, qua e là, duelli rusticani: Carvajal (con botte) e Grealish, Camavinga e Bernardo Silva, Walker e Vinicius. Ecco: i migliori, per me, sono stati Vinicius, Camavinga, Modric, De Bruyne, Gundogan, le dorsali difensive e i portieri.

Ancelotti, nervoso, era partito con tre punte, Rodrygo incluso. Guardiola aveva rinunciato a Mahrez e Foden. La trama ci ha consegnato una notte tiepida, dall’arbitro dolcemente casalingo a un rispetto che, spesso, disarmava gli arsenali. Alle ordalie della stagione scorsa sì che ci ubriacammo. Il risultato è lo specchio di un Dorian Gray che non vuole invecchiare né abdicare. Resto fedele al mio pronostico: Manchester. E domani sera, derby.